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Addio dieta mediterranea, il 61,9% degli italiani non la segue

Abbiamo tradito la dieta mediterranea? Secondo quanto emerge da uno studio dell’Osservatorio insicurezza e povertà alimentare (Oipa) sembrerebbe di sì. Sono ben 6 italiani su 10 a non seguirla; tra i giovani, la media scende a 1 su 3. E l’abbandono di un modello riconosciuto come sano a livello internazionale lo si denota con un aumento dell’obesità infantile e delle malattie croniche. La fotografia del fenomeno è nel volume “Povertà e insicurezza alimentare in Italia. Dalla misurazione alle politiche’, presentato a Roma a Palazzo Ripetta dagli autori e da Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

“L’insicurezza alimentare non riguarda soltanto l’accesso al cibo, ma incide in modo diretto sulla qualità delle diete e sulla salute, soprattutto nelle fasce sociali più fragili”, sottolinea l’Oipa introducendo il rapporto da cui emerge “come povertà economica, ambienti alimentari sfavorevoli e vincoli di accesso siano associati a modelli alimentari di bassa qualità e a un aumento del rischio di malattie croniche non trasmissibili”.

L’importanza dell’alimentazione contro le malattie croniche

Come ricorda l’Oipa, l’Italia è un Paese che spreca ogni anno 67 chili di cibo pro capite; nel quale cresce il numero di persone che saltano i pasti; rinunciano alla qualità, spesso resa inaccessibile a causa dei prezzi elevati e dipendono da sistemi di aiuto alimentare sempre più sotto pressione. È da questo scenario che nasce uno stile di vita che vede la dieta mediterranea come un lontano ricordo e l’avanzare di obesità infantile e malattie croniche come la normalità.

Le “malattie croniche non trasmissibili” sono la causa di morte dell’86% del totale dei decessi in Europa. Ciò conferma il ruolo centrale della prevenzione alimentare nella sostenibilità dei sistemi sanitari. L’osservatorio esprime, perciò, “preoccupazione” soprattutto per i dati italiani: “Solo il 43% della popolazione segue oggi un’alimentazione riconducibile alla dieta mediterranea, considerata uno dei modelli più protettivi per la salute”. E “la frattura è soprattutto generazionale: l’adesione riguarda il 53,1% degli adulti tra 55 e 64 anni, ma scende al 32,8% tra i giovani 15-24 anni“.

E sui comportamenti alimentari, il quadro risulta essere ancora più critico: “Il 61,9% degli italiani presenta una dieta non conforme al modello mediterraneo, mentre solo il 4,7% raggiunge un livello di adesione considerato adeguato. Parallelamente, il 23% della popolazione segue un modello alimentare di tipo occidentale, caratterizzato da un elevato consumo di carne e alimenti ultra-processati; la quota sale al 31% tra i giovani adulti, un dato particolarmente rilevante alla luce dell’associazione tra questo modello alimentare e l’aumento del rischio di obesità e obesità viscerale”.

Addio valori nutrizionali

Il volume evidenzia che si tratta di diete spesso prive di qualità nutrizionali; sufficienti dal punto di vista calorico, ma che portano a problemi di diversa natura: “Più di 1 bambino su 5 convive con l’obesità, una quota che arriva a quasi 1 su 3 nelle aree caratterizzate da maggiore povertà e privazione”.

Aree che spesso sono molto più “urbane” di quanto immaginiamo. Caso emblematico è la città di Roma, alla quale il volume dedica uno spazio specifico per sottolineare come nella Capitale italiana, i fenomeni sopradescritti sono all’ordine del giorno. L’analisi dipinge un quadro critico: circa un terzo della popolazione vive in aree considerate “deserti alimentari”, prive di punti vendita accessibili, mentre un ulteriore 35% risiede in “deserti solidali”, territori sprovvisti di reti strutturate di aiuto. Le periferie sono le più esposte perché vivono quotidianamente con minori possibilità di scelta, scarso accesso al sostegno pubblico e una vulnerabilità strutturale più marcata.

“Questo libro – ha commentato il vicedirettore generale della Fao Maurizio Martina – offre tracce di lavoro preziose per declinare concretamente alcuni possibili interventi per migliorare la situazione. Non c’è alcun dubbio che proprio una parte del problema stia nella mancanza di comprensione della portata del fenomeno, della sua natura, delle sue cause profonde e soprattutto della sua multidimensionalità che spesso sfugge ad alcune categorie statistiche. Fanno bene gli autori a mettere in luce alcune connessioni urgenti da capire: come quella tra povertà alimentare e impatti sanitari o il legame stringente tra redditi, diete e disponibilità alimentari”, ha concluso il vice dg.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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