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“Chi non trova reti, trova la rabbia”: la sociologa sull’aggressione di piazza Gae Aulenti

Cinque secondi appena. Tanto è durata l’aggressione che ha lasciato una donna di 43 anni riversa a terra, un coltello da cucina conficcato nel fianco, tra le torri di piazza Gae Aulenti a Milano. È accaduto poco dopo le otto del mattino, un’ora di passaggio intenso di pendolari, quando la luce scivola sui vetri dei grattacieli e il traffico inizia a stringere l’area di Porta Garibaldi. Le telecamere di sorveglianza hanno registrato tutto: la vittima, Anna Laura Valsecchi, dirigente di Finlombarda, cammina con passo deciso, il computer nella borsa. Alle sue spalle, un uomo le si avvicina, colpisce con un solo gesto, poi si allontana senza voltarsi.

L’aggressore, Vincenzo Lanni, 59 anni, è stato fermato dai carabinieri la sera stessa, in un albergo del centro. La sorella gemella lo ha riconosciuto nelle immagini diffuse dagli inquirenti. Addosso aveva ancora gli abiti usati poche ore prima. Lanni non era uno sconosciuto alle cronache: nel 2015, in provincia di Bergamo, aveva accoltellato due persone a caso, un pensionato e un passante, ed era stato condannato a otto anni di reclusione, più tre in una struttura psichiatrica. Diagnosi: disturbo schizoide di personalità, capacità di intendere “grandemente scemata”.

“Non ero in me”, aveva detto allora. Dopo la scarcerazione e un periodo in una comunità di recupero, era stato allontanato per cattiva condotta. Quando ha confessato l’aggressione, ha spiegato di aver voluto “colpire il contesto”, non la vittima. Quel “contesto” era una piazza simbolo della Milano vincente, riflesso del potere economico che domina la città.

“Una città sfidante”: il simbolismo urbano e chi resta fuori

“Piazza Gae Aulenti è un segno architettonico fortissimo”, spiega la sociologa Consuelo Corradi, professore ordinario di Sociologia generale alla Lumsa e studiosa dei fenomeni di violenza e disuguaglianza sociale. “È nuova, brillante, costruita per rappresentare il successo e la modernità. Chi vive ai margini può percepirla come una vetrina inaccessibile”.

Secondo Corradi, l’episodio di Lanni mette in luce un cortocircuito tra il linguaggio urbano e il vissuto individuale. “I grattacieli, le piazze della finanza, le torri di vetro: tutto in questi luoghi comunica sfida, crescita, potenza. Ma c’è chi quella sfida non la regge, chi la guarda da fuori e la interpreta come una sconfitta personale”. Non è una visione astratta: a Milano, città che più di ogni altra incarna l’idea di competizione e ascesa, la distanza tra chi vince e chi perde è visibile a occhio nudo.

Corradi distingue però nettamente tra simbolismo e causa diretta della violenza: “È chiaro che qui parliamo di un disturbo psichico serio, di un mondo delirante. Non possiamo confondere la malattia con la critica sociale. Però è vero che i nuovi panorami urbani sono luoghi sfidanti, e che la sfida, per chi non ha più strumenti, può diventare un peso”.

Il gesto di Lanni, dunque, non nasce dal nulla. È il prodotto di una mente fragile che si muove dentro una città dove il successo è misurabile in metri d’altezza, redditi e visibilità. “Questi spazi sono pensati per chi ce la fa”, continua Corradi. “Chi non riesce a farcela, chi si sente escluso, non trova più linguaggi di compensazione. Se non esistono reti o contesti che diano significato, la rabbia si fa muta e distruttiva”.

L’uomo, nella sua confessione, ha detto di voler colpire “la finanza, la ricchezza, il mondo che domina la città”. Ha scelto un luogo preciso: accanto al palazzo Unicredit, nel cuore della nuova City. Per Corradi, “non è una coincidenza. È la scelta di un punto simbolico, non perché la vittima rappresentasse qualcosa, ma perché quella piazza è la rappresentazione di tutto ciò che lui sentiva di aver perso”.

Disagio, follia e assenza di reti: la “terza via” mancata

Al di là dell’impatto emotivo, il caso riporta al centro il nodo irrisolto dei percorsi di reinserimento. Lanni aveva terminato la pena, era libero, ma fragile. “Le persone affette da disturbi psichici gravi non vanno incarcerate, ma non possono essere nemmeno abbandonate”, osserva Corradi. “Servono spazi intermedi, non completamente chiusi e non affidati solo alla famiglia. Ma questi spazi costano, e spesso non ci sono”.

Il ministro dell’Interno Piantedosi ha parlato di una “terza via” tra la libertà e l’internamento, un sistema di controllo comunitario in grado di intercettare il disagio prima che degeneri. Corradi è cauta: “È un’idea giusta ma complessa. La rete territoriale deve funzionare, deve avere risorse e competenze. Altrimenti la prevenzione resta una parola”.

Negli ultimi mesi, gli episodi di violenza casuale sono aumentati: accoltellamenti per un litigio, aggressioni in strada, risse tra adolescenti. “Ormai chi ha un coltello pensa di poter risolvere i problemi da solo”, dice la sociologa. “È un sintomo diffuso: non solo psicologico, ma sociale. Una rabbia che non trova argini”.

Eppure, spiega, l’Italia era un paese con una tradizione di prevenzione forte, grazie ai legami familiari e di comunità. “C’erano reti di prossimità, quartieri, parrocchie, associazioni, che funzionavano come ammortizzatori. Oggi quelle reti si sono allentate. Quando un individuo scivola, spesso cade senza che nessuno lo veda”.

Nel caso di Lanni, la sorella ha rotto un silenzio di anni solo per consegnarlo alla giustizia. Un gesto drammatico che riassume la solitudine di entrambi. “Questa è la frattura più profonda”, riflette Corradi. “Quando la famiglia non c’è più e i servizi non riescono a supplire, l’individuo resta solo con la propria rabbia. E la rabbia, senza significato, diventa violenza”.

L’aggressione nel cuore della City e la frattura sociale

Lanni ha colpito nel cuore della città più competitiva d’Italia. Non è un dettaglio. “Milano è una città sfidante”, dice Corradi. “Chi la abita lo sa: ogni giorno è una prova di efficienza, velocità, successo. Ma una società sfidante deve anche proteggere chi resta indietro”.

L’aggressione di Gae Aulenti riapre un discorso antico: la tensione tra individuo e potere economico. Negli anni Sessanta, Luciano Bianciardi scriveva de La vita agra, con un protagonista che sognava di far esplodere il Pirellone come atto di ribellione contro il capitalismo che aveva tradito i minatori toscani. Sessant’anni dopo, un uomo marginale colpisce in una piazza nata per celebrare la finanza globale. È la stessa scena capovolta, ma la rabbia è la stessa: impotente, individuale, senza progetto.

Corradi invita alla prudenza: “Non farei paragoni diretti. Qui c’è una patologia psichiatrica che complica tutto. Ma è vero che certi luoghi concentrano significati potenti: rappresentano l’opulenza, l’ambizione, la distanza. Chi vive l’esclusione li percepisce come una sfida che non può vincere”.

Da Piazza Affari a CityLife, Milano ha costruito la propria identità sul primato dell’efficienza e sull’estetica del successo. Ogni torre è un traguardo, ogni cantiere una promessa. Ma la città che sale non guarda sempre chi resta a terra. “Bisogna evitare”, dice Corradi, “che l’ossessione per essere competitivi tolga risorse dove servono: sanità, servizi sociali, reti comunitarie. L’amministrazione deve riflettere su questo, non come reazione all’emergenza, ma come politica stabile”.

Lanni, con la sua lama, non ha colpito solo una persona: ha inciso, suo malgrado, nel corpo della città. Ha mostrato che dietro la vetrina del potere economico convivono fragilità non gestite, solitudini invisibili, vite in sospeso. “La rabbia che non trova un argine”, conclude Corradi, “è quella che si trasforma in gesto distruttivo. E quando il coltello diventa l’unico linguaggio, la città deve chiedersi che lingua parla davvero”.

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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