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Dove si concentra il disagio nelle città italiane

Tufello, Tor Cervara, Foro Italico. Mercato, Pendino. Ponte Lambro-Monlué, San Siro. Nomi che non compongono una classifica e non pretendono di rappresentare tutte le città italiane, ma che raccontano un fatto nuovo: il disagio socio-economico ha finalmente un perimetro misurabile dentro le città. Per la prima volta l’Istat scende sotto la soglia del comune e individua porzioni circoscritte di territorio in cui fragilità economiche, lavorative ed educative si concentrano in modo sistematico.

Non sono “i quartieri più disagiati d’Italia”, né una graduatoria nazionale. Sono luoghi in cui le aree statistiche costruite dall’Istat coincidono, almeno in parte, con nomi riconoscibili della geografia urbana. Altrove, il disagio attraversa confini amministrativi e resta privo di etichette toponomastiche. Ma il cambio di passo è già avvenuto: le disuguaglianze urbane non sono più una media astratta, diventano una mappa interna alle città, utilizzabile per decidere dove intervenire e su quali problemi.

Come l’Istat misura il disagio dentro le città

L’Indice di Disagio socio-economico di individui e famiglie a livello sub-comunale, IDISE, nasce per rispondere a una domanda che la statistica pubblica aveva finora aggirato: dove si concentrano, dentro le città, le condizioni che rendono strutturale la vulnerabilità sociale. La risposta dell’Istat non passa da un singolo indicatore, ma da una costruzione composita che incrocia nove dimensioni: lavoro, reddito, istruzione, stabilità occupazionale, condizioni familiari, dispersione scolastica, presenza di giovani fuori dai percorsi formativi e di anziani soli senza casa di proprietà. È una definizione ampia di disagio, che evita di ridurlo a sola povertà monetaria.

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La scelta metodologica più rilevante riguarda la scala territoriale. L’IDISE è calcolato a partire dalla sezione di censimento, ma viene diffuso solo per aggregazioni che garantiscono la tutela della riservatezza. Le Aree Sub-Comunali derivano dalle Basi Territoriali 2021; le Aree di Disagio socio-economico in ambito Urbano sono costruite aggregando sezioni contigue con valori elevati dell’indice, seguendo regole dimensionali e di omogeneità. Non sono quartieri amministrativi, ma perimetri funzionali allo scopo dell’analisi.

Il valore di riferimento è fissato a 100, pari alla media del singolo comune. Questo vincolo è sostanziale: l’IDISE non serve a confrontare Milano con Napoli o Roma con Torino, ma a capire dove, dentro ciascuna città, il disagio si addensa rispetto al contesto locale. È una misura relativa, pensata per orientare priorità interne e non per alimentare graduatorie nazionali.

Roma, Napoli, Milano e le altre

La prima sperimentazione riguarda 25 comuni, distribuiti lungo tutta la penisola. I dati fanno riferimento al 2021, un anno ancora segnato dagli effetti della pandemia su occupazione e redditi, soprattutto nei territori più fragili. È in questo quadro che emergono alcune coincidenze tra aree statistiche e quartieri riconoscibili. A Roma, l’analisi sulle zone urbanistiche individua valori elevati dell’IDISE in aree come Tufello e Tor Cervara; compare anche il Foro Italico, un risultato legato alla specificità del periodo di osservazione e alla presenza, allora ancora registrata nei dati, di insediamenti informali.

A Napoli, dove l’unità di riferimento coincide con i quartieri comunali, il disagio assume una continuità territoriale più ampia. Il rione Mercato registra il valore più alto dell’indice, seguito da Pendino, ma la soglia di riferimento viene superata in numerose altre aree del centro storico e della città consolidata. Non un’isola di marginalità, ma una trama estesa che riflette fragilità economiche e occupazionali radicate.

Milano offre una configurazione diversa. L’IDISE è calcolato sui Nuclei di Identità Locale, unità più piccole dei quartieri amministrativi. Ponte Lambro-Monlué, nell’estrema periferia orientale oltre la tangenziale, risulta l’area più critica. Valori elevati emergono anche nel quadrante di San Siro, a dimostrazione di come il disagio possa innestarsi anche in contesti urbani meno periferici, attraversando aree con storie e morfologie differenti.

Negli altri comuni inclusi nella sperimentazione, il disagio è altrettanto localizzabile ma meno nominabile. A Torino le criticità si concentrano in alcune zone statistiche della fascia nord e sud, segnate dalla lunga transizione post-industriale. A Genova le aree più fragili si collocano soprattutto nella Val Polcevera e in ambiti collinari, dove invecchiamento della popolazione e bassa intensità lavorativa si sovrappongono. Città considerate solide come Bologna, Modena, Parma, Padova, Verona e Venezia presentano comunque ADU con valori superiori alla media comunale, a indicare che la vulnerabilità urbana non è un’eccezione confinata ai grandi poli metropolitani.

Anche Firenze mostra addensamenti circoscritti di disagio in aree residenziali esterne al centro storico, mentre a Prato le criticità si concentrano in porzioni urbane legate a un tessuto produttivo in trasformazione e a una maggiore diffusione di lavoro instabile. Perugia restituisce un profilo frammentato, con alcune aree sub-comunali segnate da fragilità occupazionali ed educative, mentre Carpi conferma che il disagio non è esclusivo delle grandi città, emergendo anche in contesti di dimensione medio-piccola.

Nel Mezzogiorno, oltre a Napoli, Palermo, Bari, Catania, Messina, Taranto e Reggio di Calabria mostrano addensamenti di disagio legati a bassi tassi di occupazione, redditi ridotti e fragilità educative. Cagliari e Olbia evidenziano configurazioni influenzate dalla struttura del mercato del lavoro locale, caratterizzato da forte stagionalità. Trieste e Gorizia restituiscono profili in cui pesa soprattutto la dimensione demografica, con una quota elevata di anziani soli.

Quando il disagio coincide con un quartiere, e quando no

Il rilascio dell’IDISE rende esplicita una frattura tra precisione statistica e riconoscibilità pubblica. L’Istat non ha pubblicato un elenco di quartieri “più disagiati”, ma una mappa di aree costruite per intercettare concentrazioni omogenee di fragilità. Solo in alcuni casi queste aree coincidono con quartieri o zone urbanistiche note; nella maggior parte dei comuni attraversano confini amministrativi o frammentano quartieri percepiti come unità compatte.

È una scelta che privilegia l’aderenza al fenomeno rispetto alla semplificazione. Dal punto di vista analitico, consente di evitare che differenze rilevanti vengano assorbite in medie troppo ampie. Dal punto di vista del dibattito pubblico, però, introduce una difficoltà: il disagio ha confini misurabili ma non sempre un nome spendibile. È qui che la mappa statistica entra in tensione con la geografia vissuta, costringendo a distinguere tra ciò che è amministrativamente visibile e ciò che è socialmente rilevante.

A cosa serve l’IDISE

La portata dell’IDISE non sta nella denuncia, ma nella possibilità di utilizzo operativo. Per la prima volta amministratori, tecnici e servizi sociali dispongono di una base informativa che consente di isolare le componenti del disagio e di localizzarle con precisione sub-comunale. L’indice, affiancato dagli indicatori elementari e di contesto, permette di capire se in una determinata area pesino soprattutto la disoccupazione, la precarietà lavorativa, la fragilità educativa o la condizione abitativa.

Questo livello di dettaglio rende possibile un cambio di impostazione nelle politiche urbane. Non interventi indistinti, ma azioni mirate su aree coerenti per profilo di bisogno. Dove prevalgono famiglie senza occupati o con bassa intensità lavorativa, le politiche attive del lavoro diventano infrastruttura sociale. Dove emergono dispersione scolastica e giovani fuori dai percorsi formativi, il nodo è educativo. Dove l’indice segnala una forte presenza di anziani soli senza casa di proprietà, il tema è l’accesso ai servizi e alla protezione sociale.

L’IDISE non risolve il problema del disagio urbano. Lo rende però meno eludibile, perché sposta l’attenzione dalla media alla differenza e costringe a guardare dentro le città, non solo tra le città. È su questo terreno, più che su quello delle classifiche, che la nuova mappa statistica dell’Istat è destinata a incidere.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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