(Adnkronos) – Una pistola alla testa di un medico del 118 impegnato a rianimare una donna di 97 anni. E’ accaduto nei giorni scorsi a Torino, quando un equipaggio del sistema di emergenza territoriale – formato da un medico, un infermiere e un volontario – stava assistendo una paziente e il figlio ultra 50enne della donna ha minacciato il camice bianco urlando: “Salva mia madre o ti ammazzo”. Soltanto “l’intervento dei carabinieri, giunti sul posto con 4 pattuglie, ha consentito di evitare il peggio”, racconta all’Adnkronos Salute Francesco Copolella, segretario regionale del sindacato degli infermieri Nursind Piemonte che ha denunciato l’episodio, sottolineando come solo alcuni giorni dopo si sia venuto a sapere del caso “grazie alle voci circolanti tra gli addetti ai lavori, mentre il personale intervenuto non ha segnalato nulla”. “Nessuno si stupisca del timore di denunciare”, afferma. “Il rischio sul lavoro non può essere completamente abbattuto e le misure di protezione messe in campo sono prossime allo zero. E per questo spesso gli operatori sono sfiduciati”. Anche se “denunciare questi episodi – precisa – è importante. Dovrebbero comunque essere almeno segnalati alle aziende, ma nemmeno questo accade sempre”, evidenzia Coppella secondo il quale “sarebbe opportuno avere protocolli condivisi con le forze dell’ordine, come del resto prevede la legge”. Dei pericoli, evidenzia il sindacato, “chi lavora su strada è pienamente consapevole: lo scorso anno la nostra organizzazione ha diffuso un dossier sul tema, ripreso da tutte le testate regionali, senza ricevere alcuna risposta concreta. Nessuna delle amministrazioni coinvolte può chiamarsi fuori. Non possono farlo le organizzazioni di volontariato cui fanno capo i soccorritori, esposti agli stessi rischi di medici e infermieri, né Azienda Zero cui è affidata la gestione del 118 senza averlo in carico, e tanto meno Città della Salute, o le altre aziende sedi di centrali operative, che seppur malvolentieri continua ad avere la competenza giuridica e amministrativa sul personale sanitario del sistema”. Le norme in materia “esistono, ma sono disattese, come ad esempio quella che impone procedure condivise tra emergenza sanitaria territoriale e forze di polizia per contrastare le aggressioni”, osserva Coppolella. “Nella percezione collettiva – rimarca il sindacato – il servizio di emergenza è molto apprezzato dai cittadini. Al contrario le aziende che ne hanno la titolarità gestionale lo considerano un peso: nella più miope delle visioni, il 118 è un sistema che economicamente non rende nulla, ha solo perdite e ciò sconsiglia qualsiasi investimento in prevenzione, sicurezza e formazione. In nome di questo assunto, ai lavoratori che producono ‘salute e sicurezza’ vengono sempre più frequentemente meno le garanzie elementari per tornare a casa sulle proprie gambe. Ricordiamo a dirigenti, direttori, commissari e apicali in genere che nelle loro competenze rientra la protezione dei lavoratori. Impieghino per questo compito lo stesso rigore teutonico contenuto nelle delibere con cui degli stessi lavoratori vorrebbero sbarazzarsi, o con cui rifiutano di farsene carico”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Torino, punta pistola alla testa del medico: “Salva mia madre o ti ammazzo”
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